Nella tradizione popolare napoletana, come nella tradizione di ogni civiltà umana, il primo e l’ultimo amore dell’uomo è proprio la vita, misteriosa condizione esistenziale insieme festosa e dolorante, nella quale si entra non per scelta e si esce non per volontà, secondo il sentire condiviso di ogni cultura, che ha sempre legato il vivere sociale alla rigorosa tutela di questo bene, in un patto non solo tacito che vincola i membri della comunità di appartenenza. O almeno… così fino ad oggi.
Oggi qualcuno vuole mettere le mani sulla vita.
Sulla vita che nasce, perché occorre tenere sotto controllo, con la diffusione indiscriminata
e acritica di culture contraccettive di massa, sia le dinamiche demografiche dei popoli emergenti – date le implicazioni politiche ed economiche che comportano per gli Stati più potenti – sia quelle dei cittadini dei Paesi più sviluppati che, per diventare consumatori a tutto tondo, non conviene che “mettano su famiglia”, ma piuttosto che investano sulla loro solitudine, anche – perché no? – ricorrendo, nella loro confusa ricerca del nulla, in una pressoché totale deresponsabilizzazione, a prodotti farmaceutici abortivi di ultima generazione, più efficaci, più sbrigativi e meno costosi (per chi, però?) della più tradizionale chirurgia…
Sulla vita che muore, perché, nell’obiettiva (e spesso lacerante) difficoltà esistenziale generalizzata, segnata dalle sofferenze derivanti dalle malattie incurabili passando per le catastrofi naturali, sino a quel – ora non più sottile – “male di vivere” tipico della modernità, si insinua melliflua una voce insidiosa che sussurra agli affaticati ed agli oppressi che non vale la pena lottare per stare ancora più male, per rimanere alla fine soli e sconfitti, per caricare tutti di un peso gravoso… e che di fronte a tutto questo l’unica vera “libertà” ormai è potersi autodeterminare alla morte.
Per tutte queste ragioni, si stendono le mani sulla vita.
Certo non si parla così, non è politically correct… si usano altre parole, si inventa una neolingua meno invasiva, garbatamente allusiva, che renda gradevole l’orrore.
Ma…
Ma a Rossano, in una piccola cittadina della Calabria, qualche giorno fa, nasce vivo, nell’indifferenza generale, un bambino che era stato abortito poco prima e che viene trovato dal cappellano che era andato a pregare nella sala operatoria dove era stato effettuato l’intervento.
Ci ha ricordato che siamo tutti nati per far nascere, non per uccidere.
Ma a Udine, poco più di un anno fa, moriva Eluana Englaro per un arresto
cardiocircolatorio provocato dalla forzata mancanza di alimentazione ed idratazione, messa in atto da alcuni medici che eseguivano una decisione del padre, suo tutore legale, dopo una controversa sentenza della magistratura.
Ci ha ricordato che siamo tutti vivi per far vivere, non per uccidere.
Anche noi vogliamo stendere le mani sulla vita, ma per accarezzarla, per aiutarla finché ci è concesso, e per affidarla a Qualcuno più grande di noi quando Egli chiama.
Noi vogliamo provare almeno a ridare alle cose (ai desideri, alle paure, alle scelte, agli obiettivi…) il loro nome; a servire quella verità che, unica, ci farà liberi.
Noi vogliamo aiutare a capire che si possono accogliere i bambini, che anzi si devono accogliere, anche quando è obiettivamente difficile, perché sono il senso del futuro; che nel dolore si può fare qualcosa di integralmente umano, che è anche (ma non solo!) rigorosamente scientifico ed economicamente sensato… Vogliamo, con umiltà, aiutare ed aiutarci reciprocamente a capire che, in definitiva, solo in una relazione di amore si può vivere.
Programma della giornata
LE MANI SULLA VITA
Sabato 22 maggio, ore 10
Casa Santa Francesca Romana – Via dei Vascellari 61, Trastevere (altezza isola tiberina)
Orari delle attività
10 – appuntamento direttamente in cappella per iniziare l’Ora Media
10.30 – Presentazione e primo intervento “LE MANI SULLA VITA NASCENTE” (prof. G. NOIA)
12.30/13 – Dibattito
13 – Pranzo
15 – secondo intervento “LE MANI SULLA VITA MORENTE” (Luca Silvestri e Claudia Frigieri) – a seguire il dibattito
17 – Conclusioni a cura del Mons. Giuseppe Tonello
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